Nel 2025 la puntualità nei pagamenti rappresenta ancora una delle principali criticità per le imprese italiane. Solo il 44% delle aziende salda infatti le proprie fatture entro i termini concordati, mentre cresce la quota di chi paga con ritardo fino a 90 giorni. I ritardi oltre i tre mesi restano comunque elevati.
Il dato tuttavia non è omogeneo sul territorio: la geografia dei pagamenti disegna un Paese diviso in due.
Il Nord-Est resta l’area più affidabile, con un 54,1% di imprese puntuali e solo 1,9% di ritardi gravi. A seguire, Veneto (55,8%), Lombardia (55,5%) ed Emilia-Romagna (53,9%), regioni che si confermano tra le più solide per gestione dei flussi finanziari.
Situazione diversa invece per Sud e Isole, che presentano un quadro più fragile: in Sicilia e Calabria la puntualità scende sotto il 30%, con oltre il 6% di ritardi oltre i tre mesi. Qui la difficoltà di incasso è spesso legata a margini di liquidità più ridotti, a procedure amministrative più complesse e a una minore diffusione degli strumenti digitali di gestione del credito.
Le differenze territoriali contano
In media, un’impresa italiana incassa le proprie fatture dopo 82-84 giorni, ma la variabilità territoriale è ampia.
Al Centro Italia, le aziende registrano tempi medi di pagamento attorno ai 64 giorni, mentre nel Sud e nelle Isole si arriva fino a 70 giorni. Il Nord-Est si mantiene nella fascia più efficiente con circa 65 giorni, il Nord-Ovest sfiora i 70.
Queste differenze si riflettono anche sulla stabilità finanziaria complessiva delle imprese: dove i pagamenti circolano più rapidamente, le aziende hanno più liquidità per investire, assumere e potenziarsi. Nelle zone in cui invece i crediti restano in sospeso per mesi, aumenta il rischio di insoluti e il ricorso al recupero.
I settori più a rischio
Non tutti i comparti reagiscono allo stesso modo.
Nel 2025 i ritardi più gravi si focalizzano in alcuni settori chiave dell’economia italiana: ristorazione e bar, costruzioni e servizi alla persona. In questi ambiti la quota di pagamenti oltre i 90 giorni varia tra il 6 e l’8%, un livello che incide proporzionatamente sulla salute finanziaria delle piccole imprese.
Tra i rami più virtuosi figurano invece chimica, gomma e macchinari industriali, dove i ritardi importanti non superano il 2%. Qui la maggiore solidità patrimoniale e la digitalizzazione dei processi di fatturazione contribuiscono a mantenere sotto controllo il rischio di credito.
Un contesto economico più selettivo
A livello generale, il tasso di deterioramento del credito alle imprese, ovvero la quota di prestiti e crediti che rischiano di non essere recuperati, è previsto in aumento al 2,9% nel 2025 (dal 2,6% nel 2024).
Il peggioramento, seppur moderato, rispecchia un clima di prudenza crescente e una pressione costante sui flussi di cassa, soprattutto nelle micro e piccole imprese.
Cosa significano questi dati per le PMI
Per le aziende, questi numeri definiscono una strategia.
Nel Nord, dove la puntualità è alta, l’obiettivo è conservare processi di controllo costanti e relazioni commerciali solide. Nel Sud, invece, bisogna monitorare la clientela in modo più stretto, verificare l’affidabilità prima di concedere dilazioni di pagamento e attivare procedure di recupero in tempi rapidi.
Anche il settore pesa: in comparti a rischio come costruzioni o ristorazione, i piani di rientro devono essere più brevi e le azioni stragiudiziali più tempestive. Dove invece la struttura finanziaria è più stabile (come nella chimica o nella meccanica) è possibile tenere condizioni standard, ma con sistemi di allerta preventiva sui ritardi.
Una lezione da trarre
La mappa dei pagamenti in Italia evidenzia che la puntualità non è solo questione di abitudini o geografia, ma di gestione del rischio.
Intervenire tempestivamente, conoscere il proprio territorio e adattare la strategia di recupero ai diversi contesti può fare la differenza tra un credito incassato e una perdita definitiva.